On feminism, trust it, use it, groove it!

 

di Rossella Forle’

Articolo pubblicato su Mermaid in the City blog lo scorso il 6 gennaio 2018

Negli ultimi mesi la parola femminismo, sembra essere una delle più usate dal genere umano sui social, dalla marcia delle donne negli USA contro Trump, all’esplosione dell’ hashtag #metoo, passando per la campagna di comunicazione pubblicitaria di Pandora in Italia a Natale. Tutti ci stiamo esprimendo a riguardo e moltissimi mostrano un’errata comprensione dei termini “femminista” e “maschilista”, ponendoli sullo stesso piano e dando loro significati speculari e analoghi, come faremmo con “conservatore” e “progressista”. È forse opportuno quindi spiegare meglio che – linguisticamente e storicamente – non è così.

Il mio post di oggi potrà sembrare pedante ma in realtà è il prodotto di pensieri accastonati nella mia mente per anni. Frutto anche di domande che mi sono posta in relazione ad un progetto a cui sto lavorando, dedicato alle donne, che io stessa quasi giustificandomi, ho definito non – sessista.

Quindi fate partire in sottofondo un pezzo di musica classica, come in un documentario e lasciatevi trasportare dalla lettura, dedicata alla più interessante F – word della storia dell’umanità.

Se c’è  una cosa che mi irrita più’ di tutte sono le persone che affermano cose tipo ” sono contro gli – ismi, tutti gli estremismi, tra cui includo femminismo e maschilismo” Allora partiamo dalle basi e dalla definizione di entrambi, per chiarire una volta per tutte che le femministe non sono una manica di estremiste che odiano gli uomini. E che il maschilismo non chiede per gli uomini ciò che il femminismo chiede per le donne.

Che cos’è il maschilismo

Oggi è certamente sempre più raro sentire o leggere che “le donne sono inferiori rispetto agli uomini”, ma è molto diffuso, invece, un anti-femminismo che non è altro che una forma mascherata di maschilismo: si chiede dunque o di superare la parola “femminista” o le si attribuiscono significati che quella parola non ha mai avuto.

Il vocabolario Treccani definisce così il “maschilismo” «Termine, coniato sul modello di femminismo, usato per indicare polemicamente l’adesione a quei comportamenti e atteggiamenti (personali, sociali, culturali) con cui i maschi in genere, o alcuni di essi, esprimerebbero la convinzione di una propria superiorità nei confronti delle donne sul piano intellettuale, psicologico, biologico, ecc. e intenderebbero così giustificare la posizione di privilegio da loro occupata nella società e nella storia».

Il maschilismo è dunque un atteggiamento che si manifesta in contesti sociali e privati e che si traduce in pratiche quotidiane che possono essere violente, repressive, offensive o anche semplicemente paternalistiche, basate sulla convinzione che gli uomini siano superiori alle donne. Il maschilismo stabilisce una gerarchia tra uomini e donne, in cui le donne sono considerate “naturalmente” inferiori anche sul piano intellettuale, sociale e politico. Il maschilismo è dunque una forma di sessismo, cioè una discriminazione nei confronti delle persone basata sul genere sessuale. Come ogni discriminazione, trasforma le differenze in pretese di superiorità, confondendo le due cose.

Semplificando, è perché è sempre esistito il maschilismo, che è cresciuto il femminismo.

 

Che cosa NON è il femminismo 

I contenuti del femminismo sono molto vari e complessi, ma l’obiettivo del femminismo nelle sue varie declinazioni teoriche e pratiche non è mai stato quello di affermare una “supremazia delle donne”. Il cosiddetto “conflitto tra i sessi” è stato in certi momenti molto aspro – ci sono state ribellioni e rotture – ma combattuto almeno da una parte, senza volontà di prevalere sull’altro. Eppure da molti è così che il femminismo viene considerato, in modo analogo al maschilismo, e definito in modo sprezzante “veterofemminismo” o  ” nazifemminismo”.

Il femminismo

  • non è un atteggiamento psicologico basato su alcune convinzioni

  • non è un comportamento basato sul pensiero di una presunta superiorità della donna sull’uomo

  • non è un’idea di ruoli basata sul sesso, quanto invece su un’analisi storica

Essendo un movimento storico non ha sinonimi, come non hanno sinonimi l’Illuminismo o il nazionalsocialismo. “Egualitarismo”, “umanismo” o “diritti umani” sono concezioni politico-sociali che in qualche caso hanno o hanno avuto con il movimento femminista delle convergenze di contenuti o di finalità, ma che non sono né sostituibili né sovrapponibili a quello specifico processo storico.

Che cos’è il femminismo

Il femminismo vuole una più equa ridistribuzione delle ricchezze, del potere e dell’influenza sociale: vuole cambiare uno status quo che ha visto gli uomini gestire ricchezza e potere nel corso di tutta la storia dell’umanità. Semplificando anni di storia del movimento e una letteratura infinita, va detto che a differenza di altri movimenti, il femminismo è assolutamente originale, per forma, contenuti e modalità, e che proprio da questa sua originalità possono nascere le difficoltà di inquadrarlo o i molti equivoci che lo circondano.

Il femminismo non è monolitico, non ha un gesto eclatante che lo abbia inaugurato, paragonabile ad esempio alla presa della Bastiglia. Non ha una precisa data di inizio né una data finale.

È un movimento carsico, che appare, scompare e poi appare di nuovo all’improvviso. Si parla oggi di quarta ondata femminista che verrebbe dopo: l’epoca pionieristica terminata alla fine dell’Ottocento; la ribellione degli anni ’70; il “rivendicazionismo” degli anni ’90 e 2000 – quote, riequilibrio dei salari  ( non ancora raggiunto ahimè) e cosi’ via…

A tal proposito Laurie Perry, giornalista britannica che collabora tra l’altro con il Guardian, una delle più illuminanti  femministe contemporanee che abbia mai letto. In Bitch Doctrine dice:

«Io non sono qui per raccontarvi come bisogna essere femminista…il femminismo non è un’identità. Il femminismo è un processo. Chiamatevi come volete. La cosa importante è che voi combattiate per questo».

Si scaglia anche contro quote rosa e donne in carriera, rivolgendo un pensiero molto profondo che condivido in pieno, alle donne «bianche, di classe media o alta, professioniste ambiziose» che pensano di aver raggiunto la parità di genere, correndo da una parte all’altra, scalando le gerarchie. Ma per fare tutto ciò, nel nome del femminismo, queste donne sono costrette ad appoggiarsi ad altre donne, alle tate, alle cameriere, confermando e perpetuando lo schema del neoliberismo: tutto ciò che conta, conta perché genera profitto, perché ha un valore economico.

«La caratteristica dei giovani è fare le domande», scrive Penny e poi va all’assalto: qualcuna di queste “donne in carriera” si è mai chiesta se le immigrate che cucinano, puliscono la casa condividano questa scala di valori? Se avranno mai, anche loro, le stesse possibilità, la stessa libertà di scelta?


Cos’è il femminismo oggi 

In realtà secondo alcune pensatrici è un processo che in alcuni momenti storici si decompone, le protagoniste della sua storia non sono un soggetto politico permanente, non esiste un partito femminista. Nel femminismo ci sono stati momenti di lotta organizzata, identificabili e molto riconoscibili, ma altri no, e senza che questo significasse mai la dispersione dell’eredità politica e teorica precedente.

La terza specificità del femminismo rispetto ad altri movimenti storici è che nel corso del tempo e dei luoghi geografici in cui si è sviluppato ha avuto modi, pratiche, parole e itinerari sempre differenti tra loro, tanto che si preferisce parlare di femminismi. Infine, teoria e pratica sono sempre andate insieme alimentandosi a vicenda, traendo forza e occasioni anche da saperi diversi e da altri movimenti storici, ma senza mai confondersi con questi, non esiste un femminismo di destra o di sinistra. Si potrebbe dire che il femminismo è un movimento che si è sovrapposto alla storia politica dell’Occidente stesso e a tutte le discipline.

Quello che si può affermare con certezza è che il femminismo è nato da una semplice e concreta constatazione: che appartenere al sesso femminile, nascere donne invece che uomini, significa trovarsi al mondo in una posizione di svantaggio, di difficoltà (nei migliori dei casi) e di inferiorità. I femminismi si sono infatti prodotti nel corso della storia a partire dai processi di esclusione, a cui le donne sono state sottoposte. Come a dire che, le donne a un certo punto prendono parola e mettono in discussione tutto per modificare una relazione di potere.

“A nessuno piace una femminista” 

Chimamanda Ngozi Adichie

Chimamanda Ngozi Adichie

Il primo problema è che i movimenti femministi sfuggono a logiche identitarie chiaramente definibili. C’è poi la questione se il femminismo stesso non abbia qualche responsabilità nel fatto di essere così malamente interpretato e in tal senso il dibattito interno è molto vivace.

Parte del problema, secondo alcune, sta però altrove. Lo ha spiegato bene la scrittrice Chimamanda Ngozi Adichie nel suo libro “Dovremmo essere tutti femministi” secondo cui negare la parola è negare la sostanza.

 


«Non è facile parlare di genere. È un argomento che crea disagio, a volte persino irritazione. Tanto gli uomini quanto le donne sono restii a discuterne, o si affrettano a liquidare il problema, perché pensare di cambiare lo status quo è sempre una scocciatura. C’è chi chiede: “Perché la parola “femminista”? Perché non dici semplicemente che credi nei diritti umani, o giù di lì?”. Perché non sarebbe onesto. Il femminismo ovviamente è legato al tema dei diritti umani, ma scegliere di usare un’espressione vaga come “diritti umani” vuol dire negare la specificità del problema del genere. Vorrebbe dire tacere che le donne sono state escluse per secoli. Vorrebbe dire negare che il problema del genere riguarda le donne, la condizione dell’essere umano donna, e non dell’essere umano in generale. Per centinaia di anni il mondo ha diviso gli esseri umani in due categorie, per poi escludere o opprimere uno dei due gruppi. È giusto che la soluzione al problema riconosca questo fatto».

Laurie Perry e lo stereotipo della femminista sciatta

Laurie Penny si è spinta oltre provando a spiegare la questione della resistenza al femminismo e delle numerose critiche anti-femministe come una deviazione dal reale problema, una nuova forma di negazione:

Laurie Penny

Laurie Penny

«A nessuno piace una femminista. Almeno non secondo i ricercatori dell’Università di Toronto; da uno studio è emerso che le persone ancora sono aggrappate ai tipici stereotipi sulle attiviste femministe, stereotipi come “odiatrici-di-uomini” e “poco igieniche”. Questi stereotipi sembra stiano seriamente limitando la possibilità, per le donne, di abbracciare l’impegno per la liberazione della donna come una scelta di vita. Il femminismo è un casino e c’è bisogno di venirne fuori. Per diventare “importante per le giovani donne di oggi” ha bisogno di radersi le gambe e di un nuovo taglio di capelli.

(…) Innanzi tutto c’è la questione della parola femminismo, con la quale alcune persone sembrano avere un problema. Queste persone sentono il bisogno di tenere da conto innanzi tutto i sentimenti degli uomini, quando si parla di lavoro, retribuzione o violenza sessuale, per risultare meno minacciose, più eleganti; meglio parlare di “uguaglianza di genere” se dobbiamo parlare a tutti. Quelli cui interessa mantenere lo status quo preferirebbero vedere le giovani donne che agiscono, come dire, nel modo più grazioso e piacevole possibile; anche quando protestano.

(…) Purtroppo non c’è modo di creare una “nuova immagine” del femminismo senza privarlo della sua energia essenziale, perché il femminismo è duro, impegnativo e pieno di rabbia (giusta). Puoi ammorbidirlo, sessualizzarlo, ma il vero motivo per cui molte persone trovano la parola femminismo spaventosa è che il femminismo è una cosa spaventosa per chiunque goda del privilegio di essere maschio. Il femminismo chiede agli uomini di accettare un mondo in cui non ottengono ossequi speciali semplicemente perché sono nati maschi. Rendere il femminismo più “carino” non lo renderà più facile da digerire.

Lo stereotipo della brutta femminista che nessuno “si farebbe mai” esiste per una ragione: esiste perché è ancora l’ultima, migliore linea di difesa contro qualsiasi donna che è un po’ troppo forte, un po’ troppo interessata alla politica. Allora le si fa notare che se va avanti così, nessuno la amerà mai».

Spero sia tutto un po’ più chiaro!





*Feature foto: A settembre, Twitter ha lanciato la sua prima  campagna OHH, creando una serie audace di hashtag visivi dirompenti. Nelle principali città americane, da New York a San Francisco, la campagna ha utilizzato immagini iconiche degli eventi in trend su Twitter, in coppia con il simbolo dell’hashtag e il logo di Twitter. L’obiettivo era quello di usare il simbolo dell’hashtag, che Twitter ha creato sette anni fa per stimolare una conversazione.